Cassazione Penale, Sez. 4, 20 maggio 2021, n. 20092 – Amputazione delle dita con la lama raschiatrice del silos nel mangimificio. Valutazione dei rischi
In questa sentenza la Corte territoriale, evidenziando che il rischio causa dell’infortunio non era contemplato nel DVR e che quest’ultimo conteneva mere enunciazioni di principio, ripetitive di norme di legge, senza alcuna analisi approfondita dei rischi insiti nelle attrezzature effettivamente presenti in azienda, ha ricordato che l’obbligo di valutazione del rischio gravi, ai sensi dell’art. 17, lett. a) d.lgs. 81/2008, ricade unicamente sul datore di lavoro, soggetto esclusivo cui spetta il dovere di verificare quali pericoli comporti l’attività che egli organizza e per il cui svolgimento si avvale dei lavoratori, tanto che il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del documento di valutazione dei rischi, non lo esonera dall’obbligo di verificarne l’adeguatezza e l’efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi ai lavori in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni.
Nel caso in esame sono estensibili i principi più volte espressi in sede di legittimità, discendenti dalle generali previsioni in materia prevenzionistica (artt. 15 e 28 d.lgs. 81/08), in base ai quali il soggetto investito di qualifica datoriale è tenuto a valutare tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali sono chiamati ad operare i dipendenti e ad adottare tutte le cautele per la loro eliminazione mediante appropriate misure. Deve, altresì, aggiungersi che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, il datore di lavoro deve vigilare al fine di impedire che si instaurino prassi contra legem, foriere di pericolo per i lavoratori. Qualora infatti nell’esercizio dell’attività lavorativa sul posto di lavoro si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, il datore di lavoro o il dirigente, ove l’infortunio si verifichi, non può utilmente scagionarsi assumendo di non essere stato a conoscenza della illegittima prassi, tale ignoranza costituendolo, di per sé, in colpa per l’inosservanza al dovere di vigilare sul comportamento del preposto, da lui delegato a far rispettare le norme antinfortunistiche.
Altresì, nel caso di specie, la Corte territoriale rileva che la condotta, pur certamente imprudente del lavoratore, non si configura come abnorme e/o eccentrica delle mansioni a lui affidate, in quanto volta a risolvere un problema ricorrente. Si tratta dunque di condotta non anomala e prevedibile in quanto volta a far proseguire l’attività lavorativa in assenza di una specifica previsione e disciplina delle modalità di risoluzione di tali ricorrenti problemi da parte del datore di lavoro. È questa una conclusione conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità a mente del quale il comportamento del lavoratore può essere ritenuto abnorme – e dunque tale da interrompere il nesso di condizionamento – allorquando sia consistito in una condotta radicalmente, ontologicamente, lontana dalle ipotizzabili, e quindi prevedibili, scelte, anche imprudenti, del lavoratore, nell’esecuzione del lavoro.
Fonte: Olympus.uniurb