WWF, urgente ripensare al sistema alimentare globale a partire dagli allevamenti intensivi

In vista del pre-vertice delle Nazioni Unite a Roma sui sistemi alimentari mondiali (26/28 luglio 2021) il WWF ha presentato il report “Dalle pandemie alla perdita di biodiversità. Dove ci sta portando il consumo di carne” che vuole promuovere un ripensamento globale dell’attuale sistema di produzione e consumo della carne e dei derivati animali. Dei sistemi umani che utilizzano le risorse naturali, il maggior responsabile della crisi ecologica in atto è quello alimentare, in primis la filiera della carne con gli allevamenti intensivi responsabili del 14,5% delle emissioni totali di gas serra; gli animali commerciati e allevati insostenibilmente sono, inoltre, pericolose fonti di malattie zoonotiche.

Di tutti i sistemi umani che utilizzano a proprio beneficio le risorse naturali, il maggior responsabile della crisi ecologica che si sta affrontando è quello alimentare. In primis la filiera della carne, di cui gli allevamenti intensivi sono da soli responsabili del 14,5% delle emissioni totali di gas serra, utilizzano circa il 20% delle terre emerse come pascolo e il 40% dei terreni coltivati per la produzione di mangimi. Gli animali commerciati o allevati insostenibilmente sono, inoltre, pericolose fonti di malattie zoonotiche, gravi minacce per il Pianeta e per la specie umana. Alla vigilia del Pre Summit Food il WWF lancia il report “Dalle pandemie alla perdita di biodiversità. Dove ci sta portando il consumo di carne”. L’analisi presenta numeri scioccanti e vuole promuovere una riflessione verso un ripensamento globale dell’attuale sistema di produzione e consumo della carne e dei derivati animali.

Il report si inserisce all’interno della campagna Food4Future del WWF lanciata ad aprile di quest’anno, che mira a promuovere sistemi alimentari più resilienti, inclusivi, sani e sostenibili, dalla produzione al consumo, tenendo conto delle necessità umane e dei limiti del Pianeta.
Negli ultimi 50 anni i consumi di carne hanno subito un netto incremento a livello globale, tanto che oggi nel mondo il 70% della biomassa di uccelli è composto da pollame destinato all’alimentazione umana. Solo il 30% sono invece uccelli selvatici. Ogni anno vengono macellati a scopo alimentare 50 miliardi di polli, di cui circa il 70% allevati in maniera intensiva. Tra i mammiferi, le proporzioni sono ancora più impressionanti: il 60% del peso dei mammiferi sul Pianeta è costituito da bovini e suini da allevamento, il 36% da umani e appena il 4% da mammiferi selvatici.

La quantità di carne prodotta è oggi quasi cinque volte maggiore di quella dei primi anni ‘60: in media nel mondo oggi si consumano 34,5 chili di carne a testa l’anno, ma con grandi differenze tra i Paesi. In Italia il consumo medio è di quasi 80 chili a testa quando 60 anni fa erano appena 21.
“Il sistema agroalimentare porta nelle nostre case i frutti del lavoro di centinaia di milioni di persone in mare e a terra e i benefici di ecosistemi vicini e lontani. Il cibo è il sapore della vita per miliardi di persone. Eppure proprio questo sistema, entrato negli ingranaggi voraci di sistemi economici ed industriali globali, si è trasformato in un letale nemico di foreste, oceani, biodiversità e, non ultimo, della nostra stessa salute” afferma Isabella Pratesi, Direttore Conservazione di WWF Italia. “La nostra stessa sopravvivenza su questo Pianeta ci pone oggi l’obbligo – prima che sia troppo tardi – di ripensare il nostro sistema alimentare globale a partire dagli allevamenti intensivi. Oggi se vogliamo dare un futuro al Pianeta non basta più pensare ad abbattere le emissioni di CO2 dobbiamo ridurre le ’emissioni’ del sistema food che sono deforestazione, perdita di biodiversità, inquinamento e distruzione di ecosistemi”.

Una grandissima parte delle malattie infettive che hanno afflitto e affliggono l’uomo – tra cui il COVID-19 – sono trasmesse dagli animali. Il 60% delle malattie infettive umane e circa il 75% di quelle emergenti, che hanno colpito l’uomo negli ultimi 10 anni sono di origine animale. Oltre alla diffusione delle malattie, gli appetiti umani per la carne sono il motore scatenante di molte delle principali categorie di danno ambientale che oggi minacciano il futuro dell’umanità.
L’inquinamento dell’aria e dell’acqua, i cambiamenti climatici, la distruzione di habitat prioritari, tra cui le foreste e le savane per fare posto a pascoli e monocolture destinate a produrre mangimi animali, l’alterazione dei cicli bio-geochimici, la resistenza agli antibiotici: sono tutti fenomeni che dimostrano concretamente a che livello di insostenibilità sia giunto l’attuale sistema zootecnico. È un dato di fatto che oltre il 50% degli antibiotici utilizzati globalmente è destinato all’allevamento animale e al settore veterinario, rappresentando un fattore di rischio per la selezione e diffusione di batteri resistenti. Oggi, in Europa 1/3 delle infezioni è causato da batteri resistenti agli antibiotici . Purtroppo, il nostro Paese detiene il triste primato nel contesto europeo, della mortalità per antibiotico-resistenza con il 30% dei decessi totali dovuti a batteri resistenti.

Un altro notevole impatto degli allevamenti è quello sul cambiamento climatico. Nel comparto agricolo, tra i maggiori responsabili della produzione di gas serra ci sono gli allevamenti intensivi che generano il 14,5% delle emissioni totali. Le emissioni di azoto causate dagli allevamenti sono un terzo di quelle prodotte dall’uomo. A livello europeo, la produzione agricola è responsabile del 12% delle emissioni di gas serra: la maggior parte di queste emissioni – oltre il 60% – deriva dagli allevamenti, in particolare dal bestiame bovino. Inoltre, in Italia gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di inquinamento da polveri sottili, preceduti solo dal riscaldamento degli edifici. La crescente domanda di carne e derivati animali degli ultimi decenni ha determinato anche l’espansione incontrollata delle colture per mangimi, influenzando tutto il sistema agricolo mondiale. Ogni anno un miliardo e mezzo di tonnellate di mangimi, tra cui principalmente soia e mais, entra negli allevamenti intensivi di tutto il mondo. La soia ha avuto negli ultimi 20 anni un’esplosione produttiva che non ha precedenti nella storia dell’agricoltura ed è tra i maggiori responsabili della deforestazione planetaria.

Nel 2019, a livello globale, la produzione di carni (bovine, ovine, avicole e suine) è ammontata a 337 milioni di tonnellate, prodotte prevalentemente in sistemi intensivi. La carne suina rappresenta tipicamente oltre un terzo della produzione mondiale, il pollame il 39% e la carne bovina il 21%. L’Italia, con 23 milioni di capi allevati, è quarta in classifica in UE per numero complessivo di capi. Ogni 100 abitanti, ci sono circa 11 mucche, 14 maiali, 11 pecore e 1,75 capre. Dagli anni 60, la popolazione mondiale è più che raddoppiata, arrivando a oltre 7,8 miliardi attuali. Nello stesso arco di tempo, il reddito medio globale è più che triplicato e in maniera proporzionale anche il consumo di carne, che varia a seconda dei Paesi. Nei Paesi sviluppati si consumano circa 70 kg pro-capite annui di carne contro i 27 kg dei Paesi in via di sviluppo. Non solo carne, negli ultimi 50 anni anche il consumo medio di latte è aumentato del 90% e quello delle uova del 340%.

“Sono necessarie soluzioni in grado di cambiare alla radice un sistema che ha conseguenze drammatiche sul Pianeta. Serve attuare una transizione ecologica dei metodi di allevamento e delle pratiche agricole eliminando logiche rivolte al profitto che vedono sempre più animali allevati e prezzi sempre più bassi” sostiene Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità di WWF Italia. “Per rendere possibile la transizione ecologica della zootecnia dobbiamo porci l’obiettivo di una drastica riduzione del consumo globale di carne e derivati animali (soprattutto nei Paesi più ricchi) e di un sostanziale incremento nei consumi di alimenti vegetali come frutta, verdura, cereali e legumi”.

Fonte: WWF

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