Nel corso di un’audizione parlamentare l’Istituto di statistica ha reso noto che, tra il 2008 e il 2013, l’Italia ha perso 984mila occupati, il 4,2% del totale. Molto pesante è stata l’emorragia di posti al Sud (-9%), più leggera al Nord (-2,4%). Preoccupante è il dato del 2013, che dopo quattro anni di crisi si è dimostrato il peggiore della serie. L’anno scorso il numero degli occupati è diminuito, infatti, di 478mila unità (-2,1%) – contro le 380mila del 2009, in precedenza l’anno più “nero” sotto il profilo dell’occupazione – di cui 282mila nelle regioni meridionali (-4,6%). La seconda parte del 2013, nell’industria manifatturiera e nelle costruzioni, aveva lasciato intravedere qualche timido segnale di miglioramento. Ma il 2014, però, si è aperto con brutte notizie. A febbraio gli occupati sono diminuiti di 39mila unità, -0,2% rispetto a gennaio. A livello generazionale la discesa del numero di occupati riguarda soprattutto le fasce di età tra i 15 e i 34 anni nonché tra i 35 e i 49 anni.
I problemi maggiori, però, stanno emergendo per gli ultra 50enni. Se il numero di occupati tra di loro è cresciuto nell’ultimo anno di 239mila unità (una permanenza indotta dall’inasprimento dei requisiti necessari per il pensionamento), ancora più massiccio nella stessa fascia di età è risultato l’incremento dei disoccupati: alla fine del 2013, erano un milione e 122mila persone, 438 mila in più dei 648mila di appena dodici mesi prima. Un dato tragico, perché si tratta di persone – sottolinea l’Istat – troppo giovani per la pensione, troppo vecchie per ritrovare il lavoro in assenza di politiche efficaci.