Cassazione Penale: infortunio della lavoratrice interinale e mancata formazione specifica

Cassazione Penale, Sez. 4, 10 febbraio 2025, n. 5187 – Mano della lavoratrice interinale incastrata nel rullo di un macchinario. Obbligo formativo nella somministrazione di lavoro.

 

La Corte di Appello ha confermato la sentenza con cui il Tribunale aveva condannato l’imputato in quanto riconosciutolo colpevole del reato di cui all’art. 590, comma 3, cod. pen. in relazione all’art. 583 comma 2 n. 3 cod. pen., perché, in qualità di datore da lavoro e legale rappresentante della società esercente l’attivata di fabbricazione di articoli di carta e cartone, per imprudenza, negligenza ed imperizia, nonché violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro dì cui appresso, così per colpa generica e specifica, cagionava alla dipendente infortunata lesioni personali (trauma alla mano con avulsione cute e amputazione falange distale primo dito) dalle quali derivava alla stessa una malattia ed una incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni di durata superiore ai 40 gg. (art. 583, comma 1 n. 1 cod. pen.); in particolare non assicurava, alla lavoratrice la necessaria formazione specifica in materia di salute e sicurezza, in riferimento ai rischi connessi alle mansioni, alle attrezzature di lavoro adoperate (art. 37 comma 1 lett. a) del D.Lgs.. n. 81/2008 e succ. modifiche) ed inoltre consentiva e comunque non impediva che la lavoratrice operasse sul una macchina i cui rulli contrapposti sono risultati privi di adeguati sistemi di protezione (art. 71 comma 1 e 70 comma 2 del D.Lgs. 81/2008), di modo che la stessa, nel mentre era impegnata ad applicare del nastro adesivo sui nastri trasportatori in movimento, sentiva la mano sinistra trascinata all’interno dei rulli contrapposti rimanendovi incastrata, con le citate “gravi” conseguenze lesive.
Avverso al provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato.

I motivi illustrati appaiono infondati. Le censure del ricorrente si sostanziano, per lo più, nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito. Per contro, l’impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico seguito e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
Ne deriva che il proposto ricorso va rigettato.
Va evidenziato che lo stesso ricorrente riconosce il corretto inquadrato la posizione della lavoratrice interinale richiamando il dictum di Sez. 4 n. 11432 del 09/02/2017, Ghidoni, non mass, relativo ad un caso, sovrapponibile a quello che ci occupa, in cui veniva contestata la violazione degli artt. artt. 36 e 37 del D.Lgs. 81/08, in quanto la società riferibile all’imputato aveva affidato ad un lavoratore interinale il compito di manovrare una determinata macchina, senza avere prima provveduto ad un’adeguata formazione, ed informazione sull’uso specifico della stessa, così che il lavoratore, per l’assenza di misure di sicurezza, restava con la mano incastrata negli ingranaggi, riportando lesioni personali.
Ebbene, richiamando conferentemente quell’arresto giurisprudenziale con riferimento alla posizione di garanzia in capo all’imputato rispetto all’obbligo di formazione del lavoratore, i giudici del gravame del merito offrono una motivazione logica e coerente sul corretto rilievo che, in caso di contratto di somministrazione, il datore di lavoro, anche nella sua veste di utilizzatore, deve comunque ottemperare a un dovere di vigilanza e scrupolo nell’addestramento anche nei confronti del lavoratore interinale (ossia di un dipendente non stabilmente inquadrato dell’azienda, pur già dotato di una formazione da parte dell’agenzia fornitrice), dovendone ad ogni modo assicurare un’adeguata e specifica formazione rispetto alle mansioni cui verrà adibito e ai macchinari che dovrà utilizzare.
Con motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, la Corte territoriale evidenzia come nel caso in esame le informative da parte dell’utilizzatore, asseritamente demandate a mere disposizioni orali da parte dei dipendenti dell’impresa guidata dall’imputato “sulla cui precisione ed efficacia nulla è stato dimostrato, non sono oggettivamente apparse sufficienti e non risulta, peraltro, che all’infortunata sia stato messo a disposizione il manuale di istruzione per l’uso del macchinario (onere di specifica pertinenza dell’utilizzatore, con rappresentazione delle conseguenze pericolose dell’eventuale inosservanza delle istruzioni ricevute)”. Nel caso di specie, osserva la Corte territoriale che “fermo restando che non era stata fornita una procedura scritta, né un manuale per l’uso e la manutenzione della macchina non è dimostrato che la prassi verbalmente tramandata venisse generalmente osservata”. Con tali rilievi il ricorso non si confronta criticamente.

Quanto al rispetto della normativa prevenzionale afferente ai macchinari, che secondo la tesi proposta in ricorso graverebbe sul solo produttore, già il giudice di primo grado aveva conferentemente richiamato il dictum di Sez. 4 n. 11713 del 25/02/2021, Pacetti, non mass, secondo cui è comunque onere dell’utilizzatore assicurarsi che, nell’ambito del ciclo di lavorazione, siano approntate tutte le dovute cautele antinfortunistiche. Come rileva correttamente la Corte veneziana “che il macchinario fosse stato giudicato di per sé conforme alla normativa non esime dall’adottare, nell’ambito del suo utilizzo pratico, cautele ulteriori rispetto a quelle individuate in sede di omologa originaria. Conferente in tal senso appare il richiamo dei giudici del gravame del merito al dictum di Sez. 4 n. 37060/2008 che ha chiarito come il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell’ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell’infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità “CE” o l’affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica, del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità” (pag. 4). È stato affermato – e va qui ribadito – che, in tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l’evento dannoso sia provocato dall’inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza (così Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Magrini, Rv. 256948 – 01 che, in applicazione del principio, ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha affermato la responsabilità del datore di lavoro, in ordine al reato di cui all’art. 590, comma terzo, cod. pen., per avere messo a disposizione del lavoratore un macchinario, specificamente una pressa, privo dei necessari presidi di sicurezza, in conseguenza della non attenta verifica dei requisiti di legge e della mancata valutazione in progress delle carenze del predetto macchinario, anche attraverso una adeguata azione di manutenzione, nella specie effettuata senza carattere di sistematicità; conf. Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne, Rv. 259229 – 01; Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta, Rv. 275114-02 in una fattispecie relativa a macchinario privo di “carter” di protezione, in cui la Corte ha ritenuto che il pericolo era evidentemente riconoscibile con l’ordinaria diligenza, dovendo gli organi in movimento dei macchinari essere sempre segregati per evitare contatti pericolosi con la persona del lavoratore; Sez. 4, n. 41147 del 27/10/2021, Fava-retto, Rv. 282065-01 nel caso relativo a macchinario denominato “linea di spianatura e taglio trasversale bandellatrice”, acquistato dieci anni prima dell’infortunio e dotato di marchio CE nonché di un meccanismo di segregazione delle parti mobili pericolose, agevolmente apribile, ma privo di un sistema di blocco automatico delle parti in movimento, in cui è stato ritenuto immune da censure il riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro in relazione alle lesioni occorse a un lavoratore mentre lo stava ripulendo, per non avere adeguato gli standard di sicurezza alla luce dei progressi della tecnologia e non avere installato meccanismi di blocco automatico).
Coerente con i sopra rilevati principi appare il rilievo della Corte che la macchina in questione non soddisfacesse il requisito, imposto in via generale, dell’adozione di dispositivi che assicurino in modo assoluto la posizione di fermo del macchinario durante le fasi di pulizia, ovvero evitino il contatto con l’operatore intento alla pulizia dei rulli. Ne consegue che l’omissione addebitabile all’imputato appaia causalmente collegata alla verificazione dell’evento infortunistico che ha rappresentato la concretizzazione proprio di quel rischio, prevedibile ed evitabile, che le caratteristiche stesse del macchinario e l’aver adibito il lavoratore a tale attività sottintendeva (conferente il richiamo a Sez. 4, n. 43645 del 11/10/2011, Putzu, Rv. 251930 – 01 e a Sez. 4 n. 1819 del 03/10/2014, dep. 2015, Di Domenico, Rv. 261768 – 01).

Fonte: Olympus.uniurb

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