Cassazione Penale, Sez. 4, 14 aprile 2023, n. 15830 – Lavori di potatura di una siepe e messa disposizione di una scala non idonea.
La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di condanna del Tribunale, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del datore di lavoro in ordine al reato di cui all’art. 590 c.p. in danno al lavoratore per essere il reato estinto per prescrizione ed ha confermato le statuizioni civili.
L’infortunato, dipendente della impresa individuale dell’imputato, mentre era intento ad effettuare lavori di potatura di una siepe in piedi su una scala, era caduto al suolo ed aveva riportato lesioni personali consistite nella frattura scomposta del perone e del malleolo tibiale, giudicate guaribili in giorni 157. Quale addebito di colpa nei confronti del datore di lavoro era stata individuata la violazione del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 71, comma 6 e art. 113, commi 6 e 7 per aver consentito l’utilizzo di una attrezzatura (scala) non adeguata al lavoro da svolgere, in quanto priva di piano di appoggio per i piedi e posta con apertura parallela alla siepe.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato formulando un unico articolato motivo con cui ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della colpa specifica e del nesso di causa fra la condotta colposa e l’evento.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La Corte di Appello in coerenza con la sentenza di primo grado ha confermato, sia pure solo a fini civili, l’affermazione della responsabilità penale dell’imputato in relazione all’infortunio occorso al lavoratore dipendente, ravvisando, sulla base della deposizione del tecnico Spresal, la condotta colposa nella messa disposizione, per la effettuazione di lavori di potatura di una siepe posta ad altezza dal suolo, di una attrezzatura non idonea: in particolare la scala dalla quale il lavoratore era caduto era inidonea a prevenire il rischio caduta, in quanto non era provvista di piano di appoggio per i piedi ed era stata posta in parallelo alla siepe con conseguente necessità che il lavoratore, in torsione verso un fianco, dovesse aumentare la precarietà dei suoi appoggi, ruotando i piedi parallelamente ai pioli. L’inadeguatezza della attrezzatura messa a disposizione del lavoratore aveva influito causalmente rispetto all’evento caduta, che si era verificato in quanto il lavoratore, costretto ad una torsione innaturale aveva perso l’equilibrio.
Il percorso argomentativo adottato dalla Corte è coerente con i dati di fatto riportati e rispettoso dei principi individuati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento del nesso causale. I giudici hanno adeguatamente vagliato il tema della causalità della colpa intesa come introduzione da parte del soggetto agente del fattore di rischio poi concretizzatosi con l’evento, posta in essere attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile il prodursi di quel rischio (Sez. 4. n. 40050 del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv273870; Sez. 4, n. 17000 del 05/04/2016, Scalise, Rv.266645). Sotto tale profilo la Corte ha chiarito che la scala adottata non era conforme ai requisiti previsti dal D.Lgs. n. 81 del 2008, dettati proprio per prevenire il rischio caduta e che la dinamica dell’infortunio valeva a dimostrare come, ai fini della sicurezza, non era sufficiente la cautela consistita nel prevedere la presenza di altro lavoratore. Il datore di lavoro, quindi, in quanto titolare della posizione di garante primario della sicurezza del lavoratore, doveva rispondere per non aver messo a disposizione attrezzature conformi alle previsione del T.U., secondo la migliore evoluzione della scienza tecnica.
Fonte: Olympus.uniurb