Cassazione Penale: mancata nomina del CSE e responsabilità del committente per infortunio mortale

Cassazione Penale, Sez. 4, 17 marzo 2022, n. 9008 – Ribaltamento laterale dell’autocarro non stabilizzato e schiacciamento mortale dell’operaio dipendente della ditta appaltatrice. Mancata nomina del CSE e responsabilità del committente.

La Corte d’appello ha confermato la sentenza di condanna del legale rappresentante della ditta di costruzioni, committente dei lavori di realizzazione di un complesso edilizio, per l’omicidio colposo del lavoratore operaio dipendente della ditta appaltatrice dei lavori.

In particolare, si è contestato all’imputato di non aver nominato il coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione dei lavori, il quale avrebbe dovuto verificare l’osservanza, da parte delle imprese impegnate nel cantiere, delle disposizioni del PSC e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro con specifico riferimento a un segmento della lavorazione che implicava l’utilizzo di una autopompa, il suo corretto posizionamento e la sua stabilizzazione (art. 3, comma 4, d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494); e per non aver verificato, sempre in relazione a tale manovra, tramite opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione delle disposizioni contenute nel PSC e la corretta applicazione delle procedure di lavoro (art. 6, comma 2, stesso decreto).
Nella specie, l’infortunio era avvenuto mentre il lavoratore era impegnato nello spostamento della pesante “proboscide” di gettata dell’autopompa: a seguito dell’improvviso ribaltamento laterale dell’autocarro, dovuto alla errata estensione degli stabilizzatori e all’errato posizionamento del mezzo, la vittima era rimasta schiacciata dal braccio della pompa, decedendo istantaneamente.

La Corte, nell’esaminare la posizione dell’imputato, ha precisato che gli addebiti riguardavano la mancata nomina del coordinatore per la sicurezza nella fase dell’esecuzione dei lavori e l’omessa verifica, mediante azioni di coordinamento e controllo dell’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi impegnati nel cantiere delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento (PSC). Ha, dunque, preliminarmente esaminato la questione relativa alla consapevolezza, in capo al predetto, della possibilità dell’impiego di più imprese nel cantiere, alla stregua dell’argomento ribadito in ricorso, secondo cui il contratto di appalto non menzionava tale scelta operativa, né lasciava supporre che la ditta dell’appaltatore non fosse l’unica a operare in quel contesto.
La Corte ha ritenuto di disattendere l’assunto difensivo sulla scorta del fatto che la norma che pone l’obbligo di nomina del coordinatore, normalmente precedente l’affidamento dei lavori, si applica anche nel caso in cui, dopo l’affidamento a un’unica impresa, l’esecuzione venga in tutto o in parte affidata a una o più imprese (richiamando l’art. 3, comma 4-bis del d. lgs. n. 494 del 1996). Ha, poi, affermato che, dalle risultanze in atti, era emerso che il committente, nonostante sapesse, attraverso le previsioni contenute nel PSC e nel POS dell’appaltatrice, che i lavori avrebbero impegnato 1800 giornate/uomo e che in cantiere vi era il rischio di caduta da un’altezza superiore a due metri, non aveva nominato il coordinatore per la sicurezza, aggiungendo che lo stesso POS della impresa appaltatrice prevedeva la possibile compresenza di più imprese in cantiere, come del resto era accaduto durante tutte le fasi di getto del calcestruzzo, essendo stata coinvolta la ditta proprietaria dell’autopompa usata per l’operazione di getto del calcestruzzo.
Inoltre, sempre secondo i giudici territoriali, le lavorazioni contemplate nel contratto di appalto richiedevano necessariamente l’operatività in cantiere di più imprese e tale colpevole inosservanza era in relazione causale diretta con l’infortunio in esame, tenuto conto dei compiti e dei poteri della specifica figura di garante. Il coordinatore, infatti, avrebbe sospeso la lavorazione e imposto che la stessa proseguisse in altro momento e con altre modalità. In particolare, avrebbe potuto verificare l’applicazione delle disposizioni pertinenti a ciascuna impresa, contenute nel PSC e delle norme sulla sicurezza, nonché la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro, con specifico riferimento alla fase del getto del calcestruzzo con utilizzo della autopompa e verificare la idoneità del POS, assicurandone la coerenza con il PSC.
La Corte poi ha ritenuto in capo al committente la esigibilità dei compiti spettanti al coordinatore in base all’art. 5 del d.lgs. n. 494 del 1996 (e, oggi, dall’art. 93, comma 2, T.U. 9 aprile 2008, in assoluta continuità normativa) anche in capo al committente, atteso che la nomina di un coordinatore non esonera il committente dalle responsabilità connesse alla verifica dell’adempimento degli obblighi di cui all’art. 4, comma 1 e 5, comma 1, lett. a), stesso testo normativo.
Secondo il ragionamento della Corte d’appello, non avendo il committente nominato un coordinatore per la sicurezza, egli avrebbe dovuto verificare l’osservanza da parte della impresa esecutrice delle disposizioni del PSC e delle procedure di lavoro e, in ogni caso, alla stregua delle condizioni pericolose in cui si stavano svolgendo i lavori, garantire la sicurezza sul luogo di lavoro e l’applicazione delle misure di prevenzione e, in particolare, che la lavorazione avvenisse con quelle modalità, in ciò ravvisando una condotta omissiva ascrivibile quantomeno a titolo di colpa generica, in assenza di una delega efficace a terzi circa l’adempimento di tali obblighi, quella al Responsabile dei lavori non avendo i requisiti formali (siccome priva di data certa, assolutamente generica e affidata a soggetto senza abilitazione in materia, tanto che era stato designato altro soggetto quale coordinatore per la progettazione).

Gli addebiti mossi al committente dell’opera sono strettamente correlati alla mancata nomina di un coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione (essendo incontestata la nomina di quello per la fase della progettazione) e alla omessa verifica delle disposizioni contenute nel PSC adottato dall’impresa appaltatrice e delle procedure lavorative riguardanti la fase della lavorazione nella quale si inserisce l’infortunio mortale (il getto, cioè, del calcestruzzo nelle casseforme appositamente predisposte per la realizzazione delle strutture in cemento armato delle pareti perimetrali di un complesso edilizio con destinazione residenziale, operazione svolta con l’ausilio di un’autopompa), oltre a due profili di responsabilità ascritti a titolo di colpa generica, per non avere l’imputato impedito che la lavorazione avvenisse con le modalità accertate in istruttoria.

Fonte: Olympus.uniurb

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