Cassazione Penale: tutela del lavoratore affetto da epilessia e normativa privacy

Cassazione Penale, Sez. 4, 09 luglio 2021, n. 26151 – Morte del lavoratore affetto da epilessia. Prescrizioni del medico competente e normativa privacy.

In questa sentenza la Corte di Cassazione si è espressa riguardo agli «obblighi del datore di lavoro, a fronte della conoscenza di un problema grave di salute del lavoratore e del contenuto delle prescrizioni del medico del lavoro, subordinanti l’idoneità al lavoro e la prestazione dell’attività».
Deve ritenersi «che le prescrizioni mediche sullo svolgimento della prestazione lavorativa, sono rivolte a rendere compatibile la condizione soggettiva del lavoratore con le esigenze produttive del datore di lavoro, al fine di consentire al primo di intraprendere e proseguire l’attività lavorativa, nonostante le deteriorate condizioni di salute, ed al secondo di limitare le modifiche dell’organizzazione del lavoro alle prescrizioni imposte, in modo da assicurare il diritto alla salute del lavoratore, ma anche l’utilità della prestazione lavorativa». Certamente «non può ritenersi imposto al datore di lavoro alcun altro obbligo se non quelli prescritti, né è possibile ipotizzare alcuna estensione applicativa dei medesimi, se non a costo di far assumere al datore di lavoro responsabilità ulteriori non rientranti fra quelle espressamente previste».

La Suprema Corte ha poi esaminato la «possibilità, per il datore di lavoro, di esigere da altri lavoratori di assicurare la sorveglianza sul lavoratore affetto da patologie, che quando si manifestino impongano un pronto intervento».
Ebbene «la predisposizione di una simile organizzazione lavorativa richiede, in primo luogo, che terzi soggetti, i colleghi di lavoro appunto, siano messi a parte, proprio dal datore di lavoro delle informazioni sullo stato di salute del lavoratore. Ciò, nondimeno, implica, ai sensi dell’art. 26 del c.d. Codice della Privacy, che l’interessato esprima per iscritto il suo consenso alla diffusione dei dati sanitari in possesso del datore di lavoro, non essendo a questi consentito diffonderli autonomamente, neppure ai sensi dell’art. 24 del medesimo codice, nella versione vigente all’epoca del fatto, secondo cui la diffusione per la salvaguardia dell’incolumità del soggetto interessato è consentita solo con il suo consenso, o nell’impossibilità di ottenerlo, con il consenso di soggetti quali l’esercente legale della potestà o un prossimo congiunto». Né, tantomeno, è possibile ipotizzare «che la ‘sorveglianza’ su un collega rientri fra gli obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di lavoro, sicché non è possibile da parte del datore di lavoro neppure richiedere una simile prestazione».

Nel caso di specie, le prescrizioni impartite dal medico al datore di lavoro, cioè che il lavoratore operasse in un ambiente ‘non confinato’ e non ‘in solitario’, erano rivolte «a porre il lavoratore in una condizione di ‘visibilità’ da parte dei terzi, essendo ovvio che allorquando un collega di lavoro si sente male e perde i sensi, come accade nelle crisi epilettiche del tipo descritto, è immediato l’allarme di coloro che lavorano nelle vicinanze».
La prescrizione imposta al datore di lavoro è dunque «quella di apprestare una postazione lavorativa che consente di ‘favorire’ il soccorso, non certo quella di ‘sorvegliare continuativamente’ l’interessato, ponendogli accanto un ‘lavoratore sentinella’, che lo segua ovunque egli ritenga di recarsi, nel corso della giornata lavorativa».

Fonte: Olympus.uniurb

Vai al testo completo della sentenza…

Precedente

Prossimo