ETERNIT: PROCESSO BIS O NUOVO PROCESSO? NE BIS IN IDEM PROCESSUALE E PRINCIPI CEDU

Pubblichiamo un contributo del dott. Bruno Giordano, Magistrato presso la Corte di Cassazione, e della dott.ssa Cecilia Valbonesi, Dottore di ricerca in Diritto Penale, che commenta e approfondisce la recentissima pronuncia del Giudice per le indagini preliminari di Torino che ha accolto la richiesta avanzata dai difensori dell’imputato Stephan Schmidheiny di rimettere alla Consulta la decisione sulla costituzionalità dell’art. 649 c.p.p. che sancisce il principio del ne bis in idem processuale.

L’annosa vicenda giudiziaria relativa alle nefaste conseguenze dell’uso industriale dell’Eternit si arricchisce di un ulteriore capitolo che sembra costituire una battuta d’arresto nel già complesso percorso di accertamento delle responsabilità.
Con una recentissima pronuncia, il Giudice per le indagini preliminari di Torino ha accolto la richiesta avanzata dai difensori dell’imputato Stephan Ernst Schmidheiny di rimettere alla Consulta la decisone sulla costituzionalità dell’art. 649 c.p.p., che sancisce il principio del ne bis in idem processuale, ovvero il divieto di essere sottoposti ad un secondo procedimento penale per fatti che siano già stati oggetto di un processo ormai conclusosi.
In particolare, come emerge chiaramente dal corredo giurisprudenziale offerto dall’ordinanza in commento, sussiste un potenziale conflitto fra l’art. 649 c.p.p. così come interpretato in modo univoco dalla giurisprudenza di legittimità ed il portato dell’art. 4 Prot. 7 della CEDU. Il giudice, ritenendo di non potersi discostare in via interpretativa dal suddetto orientamento e parimenti valutando insussistente la necessità di adire la Corte di Giustizia dell’Unione Europea in ordine alla questione interpretativa pregiudiziale dell’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (che sancisce il principio del ne bis in idem), ha sollevato la questione di costituzionalità dell’art. 649 c.p.p. per violazione dell’art. 117 Cost.. Si è evidenziato infatti come “il divieto di doppio giudizio sancito dall’art. 649 c.p.p. ha, nell’ordinamento processuale italiano, un ambito di applicazione limitato ai casi in cui si riscontri la coincidenza di tutti gli elementi costitutivi del reato e dei beni giuridici tutelati, non operando invece il divieto in presenza del mero accertamento della coincidenza dei fatti storici oggetto delle successive differenti imputazioni che siano state formalizzate ed esaminate nei due distinti procedimenti”. Sotto questo profilo la legge italiana si porrebbe in contrasto con la disciplina CEDU – così come interpretata dalla Corte di Strasburgo – la quale costituisce parametro interposto di costituzionalità ai sensi dell’art. 117 Cost.
L’ordinanza in commento si colloca nel contesto del secondo processo a carico di Stephan Ernst Schmidheiny che, nella sua qualità di “effettivo responsabile della gestione della società Eternit S.p.a. esercente gli stabilimenti di lavorazione dell’amianto siti in Cavagnolo, Casale Monferrato, Napoli Bagnoli, Rubiera ed effettivo responsabile della gestione delle società” nei periodi indicati nel capo di imputazione, avrebbe cagionato con coscienza e volontà ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, “la morte di 258 fra tra lavoratori operanti presso i predetti stabilimenti, familiari degli stessi e cittadini residenti nelle zone limitrofe tali stabilimenti”.
La contestazione di omicidio doloso plurimo aggravato ai sensi degli artt. 81 comma 2, 575, 577 comma 1 n.2 e 4 e 61 n.1 c.p., si fonda su numerosi profili puntualmente evidenziati dall’accusa che qui sono così compendiabili…

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