Il datore di lavoro è responsabile dei danni al dipendente

Lo ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione con sentenza n. 89 del 7 gennaio 2002

La Corte Suprema di Cassazione, con sentenza n. 89/2002 del 7 gennaio 2002, ha stabilito il principio secondo il quale i datori di lavoro rispondono dei danni arrecati ai loro dipendenti a titolo di responsabilità per fatto altrui. Questo principio, in linea con l’orientamento fino ad ora espresso dalla giurisprudenza di legittimità a proposito dell’interpretazione dell’ articolo 2049 del codice civile, in tema di ” responsabilità dei padroni e dei committenti”, stabilisce che tale responsabilità è connessa al rischio oggettivamente assunto con l’inserimento dei lavoratori nell’ organizzazione, più o meno complessa, da essi creata per lo svolgimento di determinate attività di loro pertinenza. Non si tratta, dunque, di responsabilità derivante dal fatto (proprio) di non averli adeguatamente scelti o sorvegliati nei modi dovuti; inoltre, affinchè illecito del commesso o domestico risalga al committente o padrone è sufficiente il presupposto della sussistenza di un rapporto di subordinazione e la presenza di collegamento dell’ illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, mentre si deve prescindere del tutto dai profili di una concreta ” culpa in eligendo o in vigilando” del datore di lavoro. Secondo la Suprema Corte non è infine necessario che tra le mansioni affidate e l’evento sussista un nesso di casualità, essendo invece sufficiente che ricorra un semplice ” rapporto di occasionalità necessaria”, nel senso che l’incombenza affidata deve essere tale da determinare una situazione che renda possibile, o anche soltanto agevoli, la consumazione del fatto illecito e, quindi, la produzione dell’evento dannoso, anche se il lavoratore abbia operato oltre i limiti dell’ incarico e contro la volontà del committente o abbia agito con dolo, purchè nell’ambito delle sue mansioni.

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