Indennità di maternità per le lavoratrici autonome

La Sentenza della Corte Costituzionale n. 197/2002

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’ art. 3 della legge 29 dicembre 1987, n. 546 ( Indennità di maternità per le lavoratrici autonome), promosso con ordinanza emessa il 9 ottobre 2000 dal Tribunale di Treviso, nella parte in cui non prevede che, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, l’ indennità giornaliera sia corrisposta, oltre che per i tre mesi successivi alla data effettiva del parto, anche per il periodo non goduto prima del parto, fino al raggiungimento della durata complessiva di mesi cinque. Nel procedimento civile vertente tra una coltivatrice diretta che si era vista negare dall’ INPS la corresponsione dell’ indennità economica di maternità nei due mesi precedenti il parto, avvenuto al settimo mese di gravidanza, avendo l’ Istituto previdenziale liquidato solo l’indennità relativa ai tre mesi successivi al parto, ed inoltre avendo la ricorrente invocato l’ applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 270 del 1999, la cui portata è ritenuta estensibile anche alle lavoratrici autonome, a favore delle quali è prevista l’ indennità di maternità. Pertanto il trattamento di maternità spetta anche se il parto è anticipato, in quanto il giudice deve applicare il nuovo testo unico in materia. Infatti, l’ art. 68 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 ( Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’ art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), eliminando il riferimento sia alla data presunta del parto che a quella effettiva, attribuisce l’ indennità ” per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi alla stessa”. Pertanto, attualmente, nell’ ipotesi di parto prematuro, l’ indennità è comunque corrisposta per complessivi cinque mesi, indipendentemente dalla durata della durata della gestazione. La Corte Costituzionale nella sentenza del 9 maggio 2002, n. 197/2002 ha concluso che, benchè la citata norma non possa trovare diretta applicazione nel giudizio a quo, tuttavia essa obbliga l’ interprete ad una opzione ermeneutica conforme all’ evoluzione del sistema normativo.

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