Lavoro minorile Inchiesta IRES – CGIL

Inchiesta curata da Agostino Megale e Anna Teselli rivela che oltre mezzo milione di questi adolescenti sono sfruttati per aiutare economicamente i genitori.

Il 27 ottobre scorso è stato presentato presso la sede nazionale della CGIL il Rapporto IRES-CGIL , realizzato in collaborazione con l’Osservatorio sul lavoro minorile, dal titolo “I lavori minorili nelle grandi città”. L’inchiesta – curata da Agostino Megale e Anna Teselli – che è il frutto di duemila interviste realizzate con adolescenti di nove città, rivela che oltre mezzo milione di questi adolescenti sono sfruttati per aiutare economicamente i genitori.

Come si legge nella presentazione dell’inchiesta realizzata dall’IRES – CGIL in collaborazione con l’Osservatorio sul lavoro minorile, la cui sintesi per la stampa riportiamo nel link – ” obiettivo dell’indagine stessa è stato quello di analizzare il lavoro minorile in alcune grandi città italiane: Torino, Milano, Verona, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio – Calabria, Catania. Sono state realizzate più di 2000 interviste a minori tra gli 11 e i 14 anni, sia nelle scuole ( analisi estensiva) che sul territorio ( approfondimenti qualitativi ).
In sostanza, l’indagine è stata svolta intervistando ragazzi che vanno a scuola o intercettai sul territorio, che hanno cioè esperienze di lavoro a volte alternative alla formazione scolastica. A contarne fra circa 500mila , l’IRES arriva con una stima, proiettando cioè sul territorio nazionale o dati di 150 mila ragazzi tra gli 11 e i 14 anni coinvolti in forme di lavoro precoce nelle città campione. Sono 100mila in più di quattro anni fa. Uno su due svolge lavori occasionali, il 10% stagionali, il 21% continuativi. La “paga” oscilla tra i 100 euro al mese per le attività occasionali, tra i 200 e i 400 euro per quelle continuative, ma c’è anche un 70% che si vede “pagato” con regali. Quanto all’ orario, significativo il 47%dei piccoli sul territorio che lavorano da 4 a 7 ore. Sono condizioni sfruttamento. Lo studio offre molti spunti e colpisce la “spinta” della famiglia spesso dovuta a difficoltà di reddito. Il 39% degli intervistati lavora, infatti, per aiutare economicamente la famiglia, e quasi il 30% dice “perché i genitori mi hanno detto di farlo”. Altre motivazioni non mancano, ma vengono dopo. Una famiglia su due è risultata monoreddito; il 10% con oltre 3 figli. Ma accanto al disagio economico c’ è un altro elemento che viene fuori con chiarezza, è culturale, di scala dei valori: l’istruzione non è tra questi. Il 23% dei ragazzi intervistati ha detto che i genitori sono contenti perché pensano che il lavoro sia più utile della scuola.
L'”orientamento” matura in casa, dunque, con genitori che hanno bassi titoli di studio. 1 su 5 ha la licenza media inferiore, 1 su 5 quella elementare, e anche se non mancano i laureati (6%) e chi ha la licenza superiore (18%) appare evidente che i bambini che lavorano rischiano di avere una pesante eredità, quella di fare come i genitori, non studiare, fermarsi ai primi step del percorso formativo e quindi condannarsi ad un futuro con lavori a basso contenuto professionale, spesso precari e dai bassi salari.
Fonte: CGIL-IRES
(LG)

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